venerdì 27 ottobre 2017

C'era una volta a New York 
Cecile Bertod 


Se scrivessi tutte le emozioni che provo mi direbbero che sono di parte perché sto parlando della mia scrittrice rosa preferita.  Così analizzo tutto come se adesso non sapessi chi è la persona che c’è dietro i personaggi.
Partirò dalla fine. 
Quando si termina, una lettura dovrebbe lasciarti un piccolo trauma da distacco. Se ti dispiace che sia finita, se pensi ancora ai personaggi che hai conosciuto, significa che il libro in questione aveva davvero qualcosa da dire. A questo riguardo, non solo la storia comunica con noi, ma anche lo scrittore. E C'era una volta a New York appare quasi studiato maniacalmente parola per parola. Ma anche qui ci vuole un grande talento a scegliere quelle giuste. E gli espedienti narrativi non sono da meno. Ad esempio, senza raccontare troppo, spero, c'è una piccola parte che dimostra l'abilità tecnica dell'autrice, anche se quando uno legge forse non ci fa caso. Sto parlando di un interrogatorio in contemporanea…. a cui il lettore “assiste” senza accusare salti. Non è facile. 
L'adorabile, testarda, caparbia e sempre sulle sue Sophie, grazie a una penna sapiente non appare per nulla antipatica, anzi, uno tifa da subito per lei. E anche  Xavier, che non è di certo il prototipo del maschio forte, audace, ricco e fortunato, riesce a farsi amare. Personaggi particolari, diversi dai soliti che si muovono in un ambiente ben costruito e quasi fisico, grazie anche all'inserimento di piccoli dettagli storici che non passano inosservati. Una storia che ti proietta lontano nel tempo. Vedi tutto e ti sembra di guardare un film seduto comodo sul divano, sognando di salire sul Coraline e magari riuscire a far aprire gli occhi a quei due testardi che con le loro vicende sentimentali ti hanno già rubato il cuore. 


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